Progetto INT, cos’è e perché mi ci dedico ogni venerdì

Dal mese di Gennaio, è partito ufficialmente il progetto di ricerca all’istituto nazionale dei tumori di Milano che si occupa di prendere in carico le donne con carcinoma mammario non metastatico in cura farmacologica presso l’istituto stesso.

Il progetto, nato dalla mente di Erica Ignazzi, mia collega osteopata, e della dottoressa Ferraris, ha come scopo quello di valutare l’efficacia e l’impatto del trattamento osteopatico e della nutrizione in queste donne, con già una diagnosi importante alle spalle, che già sono state in sala operatoria e che adesso attendono la radioterapia in associazione alla cura farmacologica.

Il progetto prevede la randomizzazione delle pazienti in 4 gruppi; il gruppo di controllo che non riceverà nessun tipo di trattamento, il gruppo che verrà seguito dalla nutrizionista solamente, quello che invece riceverà unicamente il trattamento osteopatico e infine ci sono quelle selezionate per ricevere sia il percorso nutrizionale che quello osteopatico.

Avrà una durata di 2 anni e ciascuna paziente riceverà 8 trattamenti osteopatici a cadenza settimanale.

Ma che cosa comporta tutto questo per le pazienti?

Un fortissimo carico emotivo in primis dettato dalla diagnosi, dalle visite, dalle terapie e dal telefono che potrebbe suonare in qualsiasi momento per annunciare la prima seduta di radio.

E questo non è mai da sottovalutare.

Non da meno c’è però anche l’aspetto fisico, dove un intervento chirurgico comporta nella stragrande maggioranza dei casi a una cicatrice sul seno stesso, a volte deturpandolo da un punto di vista estetico, e anche a livello ascellare per l’asportazione e la pulizia dei linfonodi sentinella, grazie ai quali si decreta l’estensione del tumore stesso.

Le cicatrici in questa zona sono bastarde.

Il seno non ha tagli chirurgici netti e il bisturi segue la volontà del medico. Questo può comportare una guarigione più lenta dei tessuti con arrossamenti, bruciore, sensazione di spilli ad ogni movimento del braccio e del tronco.

Infine c’è l’aspetto farmacologico, una bomba ormonale che regala alle donne che avevano già affrontato la menopausa, dei sintomi simili e a volte accentuati, mentre alle più giovani una menopausa effettiva che toglie loro anche i sogni e le possibilità.

Vampate, dolori articolari, aumento di peso sono fra i sintomi più comuni.

E qui entriamo in gioco noi, gli osteopati. Che ci dedichiamo in coppia ad ogni paziente.

Che ovviamente non abbiamo il compito di curare ma di essere un supporto.

Vi racconto la storia di T., la prima paziente che ho trattato in INT.

47 anni, sportivissima, una diagnosi di carcinoma e una recidiva, due cicatrici una sopra l’altra sul capezzolo e una ascellare.

Operata da un mese e iniziata la cura farmacologica da 10 giorni.

Dei mille sport che faceva aveva appena riniziato timidamente con il nuoto.

Arrivano il bruciore alle cicatrici, dolori in zona dorsale e mal di testa mai avuto in vita sua.

L’ho vista la prima volta che aveva ricevuto il giorno prima la chiamata per iniziare la radioterapia. 3 settimane di radio, ogni giorno.

Ditemi voi se tutto questo non impatta il quotidiano.

Mi racconta la sua storia, le chiedo durante la valutazione del cranio (sentendo una tensione verso la mandibola) se si è resa conto di serrare i denti un po’ di più in questi giorni.

Una lampadina si accende, effettivamente si.

Durante il trattamento della cicatrice ascellare ha delle fascicolazioni alle gambe che non riescono a smettere di tremare.

Ci chiede il motivo anche se ammette che pensi sia una questione emotiva. Quando ha ricevuto la chiamata per la radio, non riuscivano a stare ferme.

Le spiego che oltre ad un aspetto di regolazione del sistema nervoso autonomo, il nostro trattamento stava in quel momento andando a toccare dei punti sensibili e dolorosi.

Profondi.

Nell’anima.

E a quel punto lei piange. Si lascia andare e piange.

E si libera. Insieme alla tensione della cicatrice.

Ed è questo il motivo per cui a venerdì alterni vado all’Istututo Nazionale dei Tumori e tratto queste donne.

Perché sento di fare non la differenza ma di dare loro un cambiamento.

Di dare loro la possibilità di sentirsi vive, parte attiva della loro guarigione, di sfogarsi, di confrontarsi. Di dare loro un benessere fisico che gli permetta di andare a fare la spesa senza il timore di soffrire sollevando i sacchetti.

Perché non mi importa nulla di essere l’osteopata più brava del mondo con le mani se non so prendermi cura della persona prima ancora dei sintomi.

È una grandissima opportunità dal punto di vista professionale, perché da la possibilità di essere parte attiva della ricerca e della letteratura scientifica oltre che quella di lavorare in equipe confrontandosi con colleghi con manualità, metodo e capacità diverse dalle tue.

C’è tanta possibilità di imparare da un punto di vista manuale ma soprattutto da un punto di vista umano per tutto quello di cui scrivevo sopra.

Sono certissima che sarà un’occasione che mi farà crescere tantissimo sia professionalmente che umanamente e sono immensamente grata di essere stata scelta da Erica per questo.

Anche se mi gira l’anima tutte le volte che arrivo a Milano e devo cercare parcheggio.

Ma direi che uno sforzo per tutto questo, lo posso anche fare.